Luca Vescovi, responsabile del centro di ricerca dei materiali compositi della Dallara, si ricorda quando è nata l’idea di realizzare la Z-Bike?
«Le prime discussioni risalgono a quasi tre anni fa. Ricordo che mi chiamò il CEO Andrea Pontremoli dicendo che c’era un nuovo progetto da realizzare. Sorrideva, perché sa che Alex è un vulcano di idee ma allo stesso tempo è molto esigente e puntiglioso».
Insomma, vi ha messo alla frusta?
«È stato meraviglioso poter lavorare con Zanardi. Io lo conoscevo come pilota dalle grandi capacità. Durante questo percorso ho scoperto una persona dall’enorme sensibilità tecnica, praticamente un ingegnere prestato alla guida del mezzo. Questo approccio ci ha permesso di valutare bene ogni singolo dettaglio per affinare e maturare l’idea originaria del progetto».
Quanto avete attinto dal sistema di calcolo che usate per le automobili per la realizzazione della Z-Bike?
«È stato come se avessimo avuto a che fare con una Formula Uno. L’approccio, a partire dal disegno, è stato lo stesso che utilizziamo per le macchine da corsa. Abbiamo discusso sul carico, immaginato le manovre da fare e anche i possibili intoppi. Alex si è caricato persino un accelerometro per misurare l’accelerazione in curva».
Era un mezzo che voi non conoscevate. Cosa vi ha stupito di più nel progettare un’handbike?
«Quando entri in un settore diverso ti confronti con nuovi competitor, guardi le caratteristiche dei mezzi già sul mercato e cerchi di portare delle migliorie. Assieme ad Alex volevamo dare un taglio molto diverso da quello già esistente. Il punto cruciale è stato quello di ricercare una regolazione che permettesse all’atleta di tirare fuori il massimo. E proprio in questo aspetto risiede la più grande differenza con le automobili. Nelle macchine da corsa il pilota deve adattarsi al mezzo. Con la nostra handbike abbiamo voluto mettere l’atleta al centro del progetto. È la bici che deve andare incontro a chi la guida e ogni sviluppo è stato portato avanti proprio in questa direzione».
Voi fate un mestiere che tanti sognano ma che ogni tanto può diventare, come tutti i lavori, una routine. La Z-Bike è stato un modo per uscire da questa routine?
«Ogni nuovo stimolo è accolto con grande entusiasmo dal nostro gruppo. Specialmente se lo stimolo arriva da un campione come Alex Zanardi che ha ci ha coinvolto con una passione unica, trascinandoci ogni giorno nella voglia di migliorare sempre di più».
Questa nuova sfida che eredità vi lascia per i vostri progetti futuri?
«Ci lascia qualcosa di concreto come un materiale composito nuovo che abbiamo creato ad hoc. E ci lascia anche la soddisfazione di aver vissuto un’esperienza lavorativa inimitabile. Ogni azienda partner che abbiamo coinvolto e alla quale abbiamo parlato del progetto ci ha mostrato un’apertura totale dandoci una mano senza alcuna remora. Un caso di opening innovation davvero unico e speciale».